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25 anni di Pride – Intervista corale, seconda parte

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“L’attesa del piacere è essa stessa piacere”, scrisse Gotthold Ephraim Lessing. Parafrasandolo potremmo dire che “l’attesa del Pride è essa stessa Pride”. Sì, perché la settimana che ci ha avvicinato alla fatidica data di domani 8 Giugno, giorno della grande parata, è stata ricca di eventi grazie alla Gay Croisette. Organizzata dal Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli e svoltasi presso Largo Venue, questo multicolore e multiforme contenitore di idee, dibattiti e arte si concluderà domenica 9 giugno.

Stasera ricordiamo che sarà l’ultimo giorno della mostra Queer Nation, organizzata e realizzata grazie alla collaborazione di Roma Pride e Queef Magazine.

Dalle h.21.00 negli spazi di Rumah ( Largo venue) i lavori saranno venduti all’asta e il ricavato andrà interamente a sostenere le spese di realizzazione dell’evento. Madrine a banditrici d’eccezione Cristina Prenestina ( Spice Bomb) e Carla Monteforte.


Dopo questa doverosa premessa per ricordare gli eventi che hanno arricchito questo venticinquesimo Pride, diamo spazio alla seconda parte della nostra intervista corale (CLICCA QUI per leggere la prima parte). 

Prima però vogliamo ringraziare di cuore il C.C.O. Mario Mieli e il Roma Pride per la fantastica opportunità che ci hanno donato. Essere stati una goccia nel fantastico oceano d’amore del Pride per noi è motivo di enorme orgoglio. Ringraziamo gli artisti che hanno collaborato con noi per la mostra Queer Nation e le persone che ci hanno supportato. 

Grazie alla nostra preziosa Elena Giorgiana Mirabelli per il suo fondamentale contributo per la realizzazione delle interviste sul Pride. Grazie a chi ci ha risposto, regalandoci i propri sentimenti, le proprie emozioni e i propri sogni.

Ci vediamo tutti insieme stasera e domenica da Largo Venue, e ovviamente Sabato 8 Giugno, per le strade di Roma, a colorare d’amore la capitale.

GIANLUCA MANNA Disegnatore, grafico e attivista di lunga data
GIUSEPPE PECCE Attivista, fondatore e direttore del Rainbow Choir.
FILIPPO RINIOLO Artista, fa parte del direttivo Arci.
PIETRO TURANO Attore,  fa parte di Arci Gay

 

Domanda. Qual è stato il tuo primo Pride e a che tipo di oggetto reale o emotivo lo associ?
Gianluca Manna. Il primo Pride, a Roma, oramai più di venti anni fa (vatti a ricordare quando). Un Pride timido il mio, ma esaltante. Se devo associarlo a un oggetto, forse un paio di scarpe da ginnastica perché non pensavo di saltare, ballare, camminare così tanto! E metaforicamente sono le scarpe di un lungo cammino di liberazione, interiore e anche molto molto più quotidiano, diciamo.
Giuseppe Pecce. Il mio primo Pride è stato nel 2005. Ricordo il lancio di fischietti dai carri, ne presi uno. Non solo ero gay, in pieno centro, alla luce del sole, felice, ma avevo uno strumento che attirava l’attenzione e che mi faceva esistere, costringeva chi era fuori a sentirmi.
Filippo Riniolo. Il mio primo Pride credo che fosse il Roma Pride del 2006. Un Pride che mi fece fare coming out con molte persone. E lo associo alla kefia. All’epoca la portavo spesso ed era (ed è) il simbolo della lotta palestinese per la libertà. Perché il Pride non è solo la liberazione di qualcuno ma deve essere la liberazione di tutt*.
Pietro Turano. Il mio primo Pride è stato il Roma Pride del 2010 organizzato da Arcigay Roma, Azione Trans ed altre associazioni, lo ricordo perché avevo 13 anni ed ero appena “uscito” dal mio coming out in famiglia. È stato un coming out felice ma faticosissimo. È successo in una casa al mare ed è stato improvviso. Quel Pride significava che tutto era vero, stava accadendo sul serio: lo associo a una spiaggia di sera, c’è vento e le onde si infrangono sulla scogliera, io sono in ascolto.

D. Quali, nel corso degli anni, sono stati i cambiamenti relativamente a come il Pride viene percepito?
Anche qui, il mutamento nella percezione che si ha del Pride, a che tipo di oggetto lo associ?
Gianluca Manna. Si sta perdendo il concetto di Pride come momento che ha la comunità LGBTQI di riconoscersi e confrontarsi. Pare che dopo la misera vittoria delle Unioni Civili per molti si sia perso lo scopo del Pride. Ovviamente è il frutto di politiche assolutamente deliranti durate parecchi anni, ma è così. Il Pride è stato visto come una sorta di manifestazione per ottenere qualcosa. Non è proprio così, ovviamente. Un oggetto simbolo per me, degli ultimi Pride? Uhmmmm… forse uno specchio, piccolo, piccino. Mi pare che non ci siamo guardati abbastanza intorno, e abbiamo continuato a vedere noi stessi, anzi solo un pezzetto di noi stessi. Serve una visione diversa.
Giuseppe Pecce. Nel corso degli anni il pride è diventato un momento più allargato, molte più persone etero, molta più trasversalità nelle battaglie, ma anche meno carica destabilizzante, quasi più commerciale, una cosa di cui non avere paura ma anche qualcosa abbastanza “normale” o meglio, normalizzato. Ricordo le bottiglie d’acqua Vitasnella con i colori rainbow.
Filippo Riniolo. Di certo gli anni che seguirono cambiarono di molto il senso del Pride, come nella stagione dei DICO del governo Prodi, stagione fallimentare per molti aspetti, ma in cui il movimento LGBTQI ebbe un vero e proprio fenomeno di politicizzazione di massa, persa successivamente. Il Pride aveva un carattere vertenziale preciso. Si era convinti che avremmo vinto la battaglia, presto o tardi. Oggi non è più così, da qualche anno in molti temono il reflusso della democrazia e, con essa, dei diritti LGBTQI.
Pietro Turano. Secondo la mia personale percezione il Pride di Roma è sempre stato ben partecipato, ma forse dal 2010 a oggi ho visto crescere di molto la presenza di persone non LGBT+ e di famiglie, sia omogenitoriali che non. Ad ogni modo, nonostante il pregiudizio (o giudizio superficiale) verso il Pride sia sempre molto forte e diffuso, noto una percezione generale meno scandalistica, talvolta anche da parte dei media. Non tutti ne condividono le finalità o lo comprendono realmente, ma almeno è stata restituita più spesso negli anni un’immagine tendenzialmente reale o quantomeno più “vicina” alla realtà, e quindi a tutta la collettività. Qualcosa in cui potersi riconoscere davvero. Sicuramente più persone, con spirito critico e che credono nei valori alla base di ogni Pride, oggi si sentono più spinti a partecipare rispetto a dieci anni fa, al di là del proprio orientamento o identità di genere.
Lo associo agli occhi di mia nonna Chicca, che mi ha guardato crescere e insegnato la vita, ma che ha anche scelto di imparare da me quello che ancora non aveva mai conosciuto.

 

D. Cosa è per te il Pride? Quale il ricordo a cui sei più legat*?
Gianluca Manna. Il Pride? Un momento di riconnessione con tutti gli altri compagni e compagne fratelli e sorelle e padri e madri, con la nostra famiglia che speriamo sia più allargata possibile, per ricordarci di non essere soli a fare questa strada così faticosa. Un ricordo? Ballare su un carro che attraversava le vie di Napoli, in mezzo ai quartieri. Ero a una altezza che mi connetteva direttamente con chi in finestra ci salutava dai primi piani delle case e ancora ricordo lo spirito fantastico della gente di Napoli. Un Pride spettacolare.
Giuseppe Pecce. Il Pride per me è il giorno più bello! È il giorno in cui ritrovo la famiglia, i parenti, gli amici, anche quelli che non ci sono più. Il momento dei ricordi, degli abbracci. È il giorno in cui vedo il mondo per cui lotto già realizzato. È il giorno in cui vedo bellezza, orgoglio, coraggio, amore. Il giorno che aspetto tutto l’anno.
Il ricordo a cui sono più legato non ha un momento preciso ma è senza dubbio il mio primo Pride: un senso di liberazione, come se mi fossi tolto 1000 kg da dosso! Il cuore mi batteva a mille, ero libero, libero di essere quello che ero. Vedevo questa gente attorno a me e vedevo la famiglia di cui facevo parte, persone che sapevano cosa provassi, che avevano vissuto le mie esperienze. Mi sentivo parte di qualcosa di bellissimo e immenso.
Filippo Riniolo. Il Pride non è solo la “parata” ma la sua preparazione. Il ricordo più bello erano le assemblee in sapienza ai tempi di QueerLab, in cui si discuteva del documento politico, del carro del Pride, e in generale della fase politica. Trovarsi la mattina a montare il carro tutti insieme, in qualche centro sociale, e poi via… sfrecciando per la capitale verso piazza Esedra per la partenza!
Pietro Turano. È un appuntamento con la vita. Sembra banale ma non saprei dirlo meglio. Un appuntamento con la vita, sì. Reale, concreta, fatta di carne e sentimenti. È una sveglia che suona ogni estate e mi dice «Ecco, questo sei tu. È passato un anno, siamo ancora qui. Adesso cosa dobbiamo fare?» È l’atto di onestà più onesto che conosco.

 

D. Un incontro significativo legato al Pride.
Gianluca Manna. Uno? Ne ho mille. Nessuno in particolare, devo dire. Tutti sempre sorprendenti.
Giuseppe Pecce. L’incontro legato al Pride e che in qualche modo rappresenta il Pride stesso è stata LaKarl du Pignè.
Una persona unica, orgogliosa, di una levatura umana e morale immensa. La zia che ti fa pure da mamma se serve. Da LaKarl ho imparato a dire vaffanculo durante la marcia a tutti coloro che, tra politici e personaggi vari, volevano negare tutto quello che eravamo.
Filippo Riniolo. Di certo il Pride di Napoli del 26 giugno 2010, dove conobbi il mio ex fidanzato, con cui sono stato insieme 9 anni!
Pietro Turano. L’incontro con Nichi Vendola diversi anni fa. Ero molto piccolo e follemente appassionato di politica, più o meno come i miei coetanei potevano esserlo di calcio oppure di moda. Lui lo consideravo un riferimento concreto, non in tutto e per tutto da un punto di vista politico; soprattutto umanamente rappresentava per me una figura di rilievo e di esempio. È stato molto importante incontrarlo proprio al Pride di Roma, mentre io capivo chi fossi, e poterci parlare. È stato simbolico e lo porto nel cuore.

La Karl du Pignè, colonna portante della comunità LGBT romana
La Karl du Pignè, foto da spetteguless.it

 

D. Quest’anno è il 25° Pride Roma: cosa è stato fatto e cosa c’è ancora da fare?
Gianluca Manna. Tutto. Ricordarci che siamo tutti e tutte persone, non simboli, non cagnolini ammaestrati (il famoso Pride ordinato in giacca e cravatta??!! Please). Che i nostri corpi e le nostre anime meritano rispetto sempre, anche quando non rispettano i canoni imposti da altri. E una cosa, importante: all’interno della nostra comunità ci sono persone che sfruttano il Movimento, l’attivismo, per le loro carriere personali. Queste persone sono disconnesse dalla comunità. Profondamente. E la danneggiano dall’interno, spesso. Sarebbe ora di fare chiarezza. Last but not least: le nostre lotte sono per tutti e tutte. Per i migranti, per le donne, per chi ha altre idee del mondo, per chi non ha una casa, una scelta, un futuro. Per gli esclusi. Ribadiamolo sempre e soprattutto adesso, più che mai.
Giuseppe Pecce. In 25 anni molte cose sono cambiate, in particolare la visibilità che tutta la comunità ha ottenuto. La comunità è cresciuta di numero e oggi, anche se non sempre, è più facile dichiararsi di quanto non lo fosse 25 anni fa. Abbiamo ottenuto una legge sulle unioni civili, abbiamo ottenuto di riuscire a essere compatti nelle campagne di boicottaggio di chi pensava non avessimo reagito. La strada è molto lunga, basti pensare alle tutele che verrebbero da una buona legge sull’omo-lesbo-transfobia o dal matrimonio egualitario.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a un imborghesimento di una parte della comunità che, pur di ricevere una qualche accettazione dall’esterno, tende a emulare modelli opprimenti imposti dalla cultura patriarcale e machista, quasi a dover dimostrare di essere più brava degli altri. Una parte della lotta è recuperare lo spirito dirompente di liberazione che è alla base del primo Pride a Stonewall. Se liberiamo noi stessi prima o poi tutti saranno liberi.
Filippo Riniolo. Molto, molto è stato fatto. Siamo debitori al Roma Pride per molte delle libertà che abbiamo conquistato. Anche se una nuova generazione spesso lo dimentica (e spesso non solo la nuova generazione). Quello che c’è ancora da fare è rendere più politica e Biopolitica la partecipazione a questa giornata di lotta. Far capire il valore politico che incarna una trans quando mostra il suo seno in pubblico in un Pride. L’orgoglio del suo corpo modificato attraverso il suo desiderio e la sua scelta.
Pietro Turano. Cosa è stato fatto, beh, tutto e niente. Nel senso che ogni anno noi attivist* arriviamo ai Pride dopo 12 mesi di lavoro quotidiano e possiamo finalmente festeggiare tutti e tutte insieme i risultati raggiunti. Ma più si lavora e più ci si accorge che i bisogni delle persone sono tantissimi, crescono, cambiano forma e meritano tutti voce. “Tutto e niente” è un modo per dire che non si smette mai di lottare e lavorare per difendere i diritti, mai nemmeno un giorno. Ed è un esercizio, come il femminismo. La libertà va praticata, altrimenti la vita ci porta da un’altra parte. Il Pride di Roma ha saputo affermarsi come realtà forte, concreta e di una certa portata in Italia. Cosa c’è da fare adesso? Sicuramente lavorare affinché anche il Pride di Roma sia a tutti gli effetti il Pride di una capitale europea, ma questo si raggiunge con un lavoro costante e condiviso fra tutte le associazioni. Il primo passo è sicuramente predisporne le condizioni. Io partirei dalla ristrutturazione di un coordinamento formalmente costituito con delle logiche e delle prassi, dalla pubblicazione di un bilancio che sia effettivamente pubblico e consultabile, dalla costruzione di una rete solida di partner che non siano donatori una tantum ma con obiettivi strutturali a lungo termine.

Foto dal Gay Pride di Roma

D. Racconto) Il Pride raccontato a chi non ha la minima idea di cosa sia davvero il Pride.
Gianluca Manna. Il Pride. Il Pride, l’orgoglio, anzi l’ORGOGLIO. Di essere quello che siamo e anche quello che vogliamo essere, diventare. Se ci vengono quotidianamente negati rispetto e uguaglianza, noi scendiamo in piazza, in massa, tutti/e diversi/e e tutti/e ugualmente degni/e, liberi/e, uguali. Festosi, perché festeggiamo noi stessi come comunità aperta. Agguerriti perché non vogliamo più stare a vedere mentre veniamo strumentalizzati, umiliati, usati come capro espiatorio. Scendiamo in piazza a cantare e ballare, nudi, vestiti, con i nostri compagni e le nostre compagne, con ben chiaro in testa che abbiamo diritto di scegliere come fare sesso, chi amare, come gestire i nostri corpi e i nostri cuori. Da soli non ce la faremmo mai, uniti invece possiamo cambiare tutto.
Giuseppe Pecce. Ero molto agitato in metro quel venerdì. Lui mi piaceva molto anche se certe volte proprio non voleva capire quanto mi potesse dar fastidio che mi volesse tenere la mano per strada o addirittura baciarmi. Insomma, e se ci avessero visto? E i bambini? E il luogo pubblico? Certo lui obbiettava che anche gli etero lo facevano ma francamente, dai diciamolo!, quella è un’altra storia.
Mi aveva praticamente obbligato per sfinimento a dirgli di sì, di andare insieme a quella “carnevalata”, quella cosa indegna a cui la gente per bene e rispettabile non va.
E il giorno dopo mi sarei ritrovato in mezzo a quella gente che non mi rappresentava per niente e a cui sarei stato associato in qualche modo.
Partimmo e io ero di cattivo umore, in metro era pieno di gente con bandiere arcobaleno, magliette a tema, coppie che si tenevano per mano e addirittura delle trans. Fu allora che accadde: un signore sulla trentina si avvicinò a una trans e le disse «Brutto frocio, fai schifo!»
Vidi in un secondo tutto il dolore sul volto di quella ragazza, mi ricordavo delle parole che sentivo in televisione, delle botte che avevo preso a scuola, di quelle battutine che sentivo dietro le spalle e di quelle barzellette a cui facevo finta di ridere. In un momento pensai che era vero. Insomma, alla fine, se tutti dicevano queste cose, probabilmente avevano ragione loro!
Poi una voce.
Una voce forte
Una voce sopra le righe.
Una specie di grido con un forte accento romano ma anche un po’ di ghetto americano delle mie sitcom preferite.
«Ah bellaaaa, frocio sì ma brutta ce sarai te! Io so favolosaaa!» Silenzio.
Poi realizzai.
La trans aveva risposto, aveva osato rispondere, ed era stato… IN-CRE-DI-BI-LE!
Tutti scoppiarono a ridere e tra applausi e uno «SCE-MO! SCE-MO!», il signore si affrettò a scendere tutto rosso in faccia.
Io ridevo e mentre ridevo mi ritrovai a piangere e ridere allo stesso tempo.
Andrea mi prese per mano, mi ritrovai a Repubblica, all’aria aperta, alla luce del sole, la musica, i colori.
Mi sentivo diverso, vivo, potevo respirare come mai avevo fatto. Mi girai verso Andrea, che era molto preoccupato e voleva andare verso un’ambulanza, e lo baciai. Mica un bacio a stampo ai quali cedevo ogni tanto quando lui insisteva per strada. No no, lo baciai per bene. In qual momento capii che la mia vita era mia e che mi stavo togliendo una parte di libertà e di felicità da solo. Quella trans mi ha liberato e da quel giorno imparai a essere orgoglioso, favolosamente orgoglioso.
Filippo Riniolo. Bhe, vi racconto una vicenda che non fu un Pride vero e proprio ma, a distanza di anni è la cosa che più gli assomiglia. Era il 2012, non molto lontano dalla stagione della contestazione dell’Onda studentesca. Si suicidò un ragazzino “dai pantaloni rosa” al Liceo Cavour. Come QueerLab e Mario Mieli convocammo un presidio alla GayStreet, sotto il Colosseo, per la sera stessa. Accorse così tanta gente che partimmo con un coloratissimo corteo non autorizzato verso il liceo, e incontrammo i ragazzi che erano in occupazione. Per me il Pride è così: Rivolta spontanea!
Pietro Turano. Non voglio essere pesante ripetitivo o banale, oppure finire per non dire tutto quello che vorrei.
Vorrei rispondere con una poesia che mi ha fatto conoscere un amico coreografo, e che dice cosi:

Quando sarò capo del mondo
dovremo far fiorire tutto, tutto
tutto il fioribile
commetteremo continui
atti di fioritura
poi d’autunno, d’inverno,
pazienti
aspetteremo

– PROCLAMA DEL FIORIRE –

 

Intervista realizzata per noi da Elena Giorgiana Mirabelli, redattrice e responsabile progetti di Arcadia book&service.

 

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